Roma, 13 nov. (askanews) - Una favola ambientata nel dopoguerra in una Napoli poverissima, dove i piccoli Carmine e Celestina, senza famiglia, si imbarcano come clandestini su una nave diretta in America, alla ricerca della sorella della bambina, emigrata mesi prima. Un viaggio ricco di speranza verso l'ignoto, come quello fatto da tanti italiani dell'epoca. Ma "Napoli-New York", il nuovo film di Gabriele Salvatores, nelle sale dal 21 novembre, è molto di più. Già la storia della sua nascita è un piccolo giallo. Una sceneggiatura scritta da Federico Fellini e Tullio Pinelli, ritrovata per caso in un baule di scartoffie che stavano per essere buttate, racconta il regista.
"Queste 58 pagine, quasi un piccolo romanzo molto dettagliato, scritto da Fellini e Pinelli per un altro regista che poi aveva rinunciato a farlo e allora Fellini stava pensando di realizzarlo lui questo film".
Ci ha pensato Salvatores, oltre 70 anni dopo, chiamando Pierfrancesco Favino per fare il comandante della nave su cui si nascondono i bambini e gli incredibili Antonio Guerra e Dea Lanzaro che interpretano Carmine e Celestina. "È emozionante, quasi mi commuove, è poetica e bella questa cosa che una piccola e bella storia che stava scomparendo viene ritrovata e fatta rinascere", afferma il regista. Si parla di migranti, difficoltà d'integrazione, diffidenza e povertà, ma c'è sempre speranza, grazie alla solidarietà e all'affetto che i due bambini trovano anche in una New York piena di rimandi a Fellini e al cinema neorealista. Pierfrancesco Favino: "Io penso che Fellini e Pinelli quando l'hanno scritta hanno pensato: abbiamo due bambini protagonisti che devono affrontare un'avventura, cosa gli facciamo fare? E visto che quello che li circondava in quel momento era quella realtà, hanno deciso di usare l'immigrazione, toccando alcuni temi con profondità ma senza alcun tipo di rancore o contraddittorio polemico, regalandoci una favola bellissima che ci fa catapultare in un film di Frank Capra e Rossellini allo stesso tempo".
E Salvatores aggiunge: "Ho dovuto cambiare un po' la parte americana perché loro erano un pochino troppo ottimisti verso l'America nel '49". "Arrivare a New York era un po' come per Alice nel Paese delle Meraviglie, e Fellini questo lo scrive anche negli appunti: 'Non siamo mai stati in America e New York ce la siamo dovuta un po' inventare'. E qui mi ha dato un po' la chiave di interpretazione".