Roma, 24 ott. (askanews) - Abusi subìti per mano di un dirigente sportivo, poi il dramma della sconfitta, l'isolamento, la droga, il tentato suicidio. A 35 anni Vincenzo Fuoco, oggi tecnico della FIGC qualificato del settore giovanile e scolastico, impegnato nell'attività di base e nella tutela dei minori della sua regione, si mette a nudo davanti alla macchina da presa e racconta senza filtri la sua storia e il perché mise da parte il sogno di diventare un calciatore. Si intitola "Cattivi Maestri" il documentario autobiografico (prodotto da Lupin Film) per la regia di Roberto Orazi, presentato in anteprima alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma.
L'interprete Vincenzo Fuoco spiega come è stato raccontare la sua vita: "Difficile, intenso, complicato. È stato un percorso lungo perché abbiamo scelto con estrema attenzione le parole, i messaggi che volevamo trasmettere. Mi fa piacere sentire parlare di rivincita, di rinascita, ma il messaggio che vogliamo portare è quello del perenne dolore che queste situazioni ti lasciano addosso. Purtroppo, per quanto ferite come queste possano diventare una cicatrice, sono cicatrici che poi continuano a far male, che condizionano l'esistenza di una persona. È importante far capire non solo cosa succede, ma anche quali conseguenze la persona vive".
Il messaggio del film è chiaro: "Il messaggio che mi sento di dare è che lo sport deve essere sempre e soltanto un luogo sicuro, di gioia e di divertimento, di non sentirsi ostaggi di persone che utilizzano lo sport come luogo di caccia per poter perseguire i loro interessi. Queste dinamiche non hanno nulla a che vedere con lo sport ed è importante che i ragazzi capiscano che a pagare è solo il talento e ciò che noi facciamo e non ciò che ci viene promesso o richiesto per poter avere qualcosa in cambio".
Un viaggio faticoso e a tratti doloroso, ma che esce anche con un messaggio di rinascita e speranza. Come spiega il regista Roberto Orazi: "E' stato un percorso a tappe, graduale. Vincenzo ha dovuto superare delle barriere individuali, ma anche la scelta di raccontare la storia pubblicamente credo che all'inizio non ci fosse nemmeno la portata. È stato un avvicinamento che ha necessitato di un po' di tempo".