Torino, 18 apr. (Askanews) - River Claure è un fotografo boliviano under 30, già protagonista alla Biennale Arte del 2024, e oggi è uno degli ospiti di Exposed Torino Foto Festival. Il suo progetto "Unce Upon a Time in the Jungle" è ospitato alla GAM, la Galleria d'arte moderna e contemporanea torinese.
"Questo lavoro - ha detto Claure ad askanews - parla della violenza che è latente nella foresta amazzonica ecuadoriana, una violenza che è il frutto delle industrie estrattive, come quella del petrolio o delle miniere, ma anche del narcotraffico, ma guardo questi temi un po' come se fosse un gioco, come se fosse una storia del Far West americano. Penso che questa mostra stia a metà strada tra la stage photography e quella in presa diretta. non so, è un po' una mistura".
Il talento di Claure sta proprio nel saper affrontare di petto argomenti forti, politici, ma con un approccio che è tutto artistico, che è estetico nel senso più forte del termine. Il suo sguardo di fotografo ha la consapevolezza della sua costruzione, anche se si tratta di scatti realizzati davvero ai confini del mondo, dopo quasi 400 km di viaggio in canoa. Per questo gli abbiamo chiesto di dirci cos'è oggi per lui la fotografia. "È la mia scusa per imparare - ci ha risposto - è il modo in cui imparo cose sulle altre persone, sul contesto e anche su me stesso. Credo proprio che la fotografia sia lo strumento con cui io imparo".
Tra il gioco e l'impegno, quello che succede guardando le immagini di "Once Upon a Time in the Jungle" è di vedere ribaltati gli stereotipi sulla rappresentazione dell'Amazzonia e del suo territorio. E ci si imbatte anche nel dubbio che davanti ai nostro occhi scorra una sorta di letteratura per immagini, una rilettura sudamericana - alla Borges o alla Bolano - del mito della frontiera e del West.