Roma, 15 gen. (askanews) - 80 anni dopo la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell'esercito sovietivo, sono sempre meno i superstiti dello sterminio della popolazione ebraica da parte dei nazisti. Erano bambini o adolescenti quando arrivarono nel campi, sono sopravvissuti per un colpo di fortuna, per una casualità, o per resistenza. Oggi vivono con i loro discendenti sparpagliati per il mondo: c'è chi è rimasto nel paese di origine, chi ha deciso di andare in America del Nord o del Sud, chi si è trasferito in Israele.
Questa è una carrellata delle loro voci, coscienti che con loro sparirà l'ultima testimonianza diretta dell'Olocausto. Parole che ricordano quelle della senatrice a vita Liliana Segre.
Evelyn Askolovitch, francese, 86 anni, vive a Parigi: "Ero piccola, fra quattro anni e sei anni e mezzo, e forse ero capace, quando le cose erano troppo dure, di mettermi in una bolla, di non esserci.Nel 2015 ho deciso che siccome faccio parte dell'ultimissima generazione, devo parlare. E adesso racconto, percorro le scuole della Francia".
Hirsz Litmanowicz, 93 anni, vive a Lima in Perù e ricorda: "Fui deportato con tutta la famiglia direttamente a Auschwitz. E lì mi scelsero per degli esperimenti medici. Mio fratello morì il giorno dopo, era arrivato con me. Io fui scelto per gli esperimenti, lui no. Pura fortuna, tutto qui. Non ho potuto nemmeno salutarlo o abbracciarlo".
Naftali Furst, 92 anni, vive a Haifa in Israele: "Racconto la mia storia a giovani e adulti perché è importante che sappiano, e lo faccio per i bambini morti che non possono più parlare, che non hanno voce per raccontare ciò che avvenne: sento l'obbligo di parlare finché posso".
Ted Bolgar, 100 anni, vive a Montreal in Canada: "All'arrivo a Auschwitz io e mio padre fummo considerati capaci di lavorare. I bambini, gli anziani, li mandavano dall'altro lato. Dicevano "devi essere sporco dopo tre giorni in treno ti serve una doccia". Li portavano in un grande edificio che diceva "bagni pubblici". Invece dell'acqua usciva il gas. Venivano uccisi, mia madre e mia sorella erano fra loro".
Julia Wallach, 99 anni, vive a Parigi in Francia e viene intervistata a fianco della nipote Frankie che dice "Quello che resterà di questi ricordi quando non ci saranno più sopravvissuti saranno le tracce di quando erano vivi, cioè i film, gli scritti, i libri, i video, le loro testimonianze, ci sarà solo questo. Perché la nostra parola non vale quanto la loro".
"Finché posso farlo lo farò", dice Julia. "Per non dimenticare", dice la nipote; sì, replica Julia, "Per non dimenticare".