Report, l’ultima inchiesta affossa Zan e Di Biase: “Guadagnano dai Pride”. Ma loro negano tutto

Il programma di Sigfrido Ranucci indaga su un possibile conflitto di interesse per i due esponenti del Pd. Le loro società avrebbero lucrato su eventi a tema Lgbtqia+.

Tommaso Pietrangelo

Tommaso Pietrangelo

Giornalista

Autore, giornalista, cantautore. Laureato in Letterature Straniere, è appassionato di cinema, poesia e Shakespeare. Scrive canzoni e ama i gatti.

Pesantissime le accuse rivolte a due esponenti di punta del Pd, Alessandro Zan (noto promotore del ddl sui diritti di genere) e Michela Di Biase. L’ultima puntata di Report indaga infatti sul possibile conflitto d’interesse dei due "amici" di Elly Schlein, le cui società commerciali sono in prima linea nell’organizzazione degli eventi legati al Pride e alla parità di genere. I diretti interessati rispediscono con forza le accuse al mittente: nessun profitto personale, dicono. Vediamo di seguito tutti i dettagli dell’inchiesta.

Report indaga su Zan e Di Biase

L’ultima inchiesta di Report rischia di mettere nei guai due volti arcinoti della galassia Pd. Uno è Alessandro Zan, deputato promotore del dibattutissimo ddl sulla parità di genere, e l’altra è Michela Di Biase, moglie dell’ex ministro Dario Franceschi, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti Lgbtqia+. Quella che emerge dai servizi, a quanto pare, è l’ombra di un possibile conflitto di interessi tra politica e affari personali. Ma andiamo con ordine.

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Alessandro Zan non è solo un deputato, ma anche il socio di maggioranza della Be Proud Srl, che ogni anno si occupa di organizzare l’evento Pride Village di Padova (da cui la società ha incassato, solo nell’ultima edizione, oltre un milione di euro). A lui Report ha quindi rivolto la fatidica domanda: quello in questione è un evento a fini commerciali? E in caso affermativo, non siamo allora di fronte a un palese conflitto di interessi? Questa la replica di Zan: "È un evento dove tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell’iniziativa, e dunque non c’è nessun tipo di guadagno". Poi il deputato aggiunge: "Io ho prestato il mio nome per dare una mano, ma lo faccio con spirito di servizio, a titolo gratuito". Eppure Be Proud ha già versato le bellezza di 50 mila euro nelle casse del Pd. Non briciole, insomma.

Quanto a Michela Di Biase, su di lei indaga un servizio firmato da Lorenzo Vendemiale e Carlo Tecce. All’esponente Pd viene contestato di aver fondato una società per la certificazione della parità di genere, la Obiettivo 5, che avrebbe approfittato di una "congiuntura" favorevole con la politica. In sostanza, la Di Biase sarebbe stata a conoscenza (in netto anticipo sulla concorrenza) dell’uscita di una legge ad hoc sui diritti di genere. E di questa apertura avrebbe approfittato prontamente, per lucrare a dovere tramite la sua società. Sono insomma accuse pesantissime, quelle che il programma di Sigfrido Ranucci muove contro i due paladini della comunità Lgbtqia+. Resta da vedere se alla prova dei fatti si riveleranno fondate.


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