Raoul Bova da Don Matteo al teatro: "Non sono una scatola vuota. Ognuno ha il suo lager personale"
Raoul Bova torna a teatro con Il nuotatore di Auschwitz, una storia di sopravvivenza e speranza ispirata a due vite reali, per raccontare al pubblico il valore della resilienza.
In occasione della messa in scena de Il nuotatore di Auschwitz al Teatro Parioli di Roma, in programma dal 27 novembre all’8 dicembre, Raoul Bova racconta il forte significato del suo nuovo spettacolo. Al centro della rappresentazione, la storia di due personaggi realmente esistiti, Alfred Nakasch, nuotatore sopravvissuto all’Olocausto, e Viktor Frankl, psicologo austriaco, che con le loro vite simboleggiano resilienza e speranza. Bova descrive l’opera come un omaggio alla forza dell’animo umano, un invito a non arrendersi e a riscoprire il valore della vita, anche nei momenti più bui.
Durante l’intervista, Bova parla anche dell’enorme successo ottenuto con Don Matteo, ruolo che gli ha permesso di raggiungere un pubblico ancora più vasto e trasversale. Il personaggio che interpreta nella celebre serie lo ha reso uno degli attori più amati in Italia, un ruolo che accoglie con gratitudine, ma che affronta sempre con la consapevolezza della responsabilità che ne deriva. Essere così apprezzato dal pubblico, infatti, lo spinge a scegliere progetti che possano ispirare e portare un messaggio positivo.
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Entra nel canale WhatsAppPer Bova, il teatro diventa un mezzo per trasmettere messaggi di speranza e riflessione, alternando successi televisivi come Don Matteo a opere che esplorano temi profondi, dimostrando la sua versatilità e il suo impegno nel coinvolgere ed emozionare il pubblico.
Com’è nata in te questa voglia di comunicare un messaggio così forte?
"Essere genitore mi ha sensibilizzato ancora di più, soprattutto in un periodo in cui si sentono continuamente notizie di violenza, bullismo e femminicidi. Questo spettacolo è anche una risposta a queste difficoltà e una testimonianza per chi attraversa momenti duri: c’è sempre una via d’uscita. Abbiamo tutti, in qualche modo, il nostro "lager" personale, momenti in cui ci sentiamo privati della nostra identità e dei nostri diritti. Attraverso questa rappresentazione possiamo offrire spunti, suggerimenti o anche solo una forma di ascolto. Ho sentito l’urgenza di affrontare questo progetto ancor prima come essere umano piuttosto che artista, è una di quelle cose che ti arrivano dentro e spero di poter far arrivare qualcosa di questa emozione".
Come cittadino, che posizione hai su questi temi?
"Sono assolutamente contrario a qualsiasi tipo di violenza. Però, questo spettacolo non vuole essere una denuncia, ma è un inno alla vita, un invito a vivere e sopravvivere, a restare in questo mondo senza lasciarsi andare. Se c’è da combattere o protestare, bisogna farlo, ma senza rimanere passivi. Il significato dello spettacolo è proprio questo: non lasciarsi scorrere la vita addosso"
Pensi che lo spettacolo possa toccare anche i più giovani?
"Sì, sicuramente. C’è una storia d’amore che rende il messaggio accessibile anche ai giovani. Voglio comunicare loro quanto siano importanti l’affetto e il sostegno reciproco. Per uno dei personaggi, è proprio l’amore a dargli la forza di sopravvivere. E poi c’è il nuoto, visto come disciplina sia fisica che mentale: un impegno che insegna a sopportare sacrifici per raggiungere un obiettivo. Anche se può sembrare uno sport individuale, il nuoto in staffetta richiede responsabilità e collaborazione. È una grande lezione di vita, che fa capire il valore della cooperazione".
Cosa ti ha emozionato di più nello spettacolo?
"La musica di mio figlio Francesco. È lui ad aver composto le colonne sonore e ogni sera, ascoltandole, mi sembra di ricevere una mano tesa, un sostegno. Per me, come padre, è una grande emozione vedere quanto impegno e passione ci ha messo. È un’esperienza straordinaria condividere con lui qualcosa di così importante".
Com’è stato lavorare con Luca (De Bei, autore e regista) in questo spettacolo?
"Luca è una persona di grande cultura e sensibilità. Abbiamo lavorato insieme su ogni parola del testo, su ogni frase, cercando di viverle pienamente, non solo di recitarle. Questo spettacolo richiede un’apertura emotiva, più che una tecnica precisa. Con Luca siamo riusciti a immergerci nei personaggi di Alfred e Viktor, portando in scena le loro storie di sofferenza e forza".
Raoul stai vivendo uno straordinario successo con Don Matteo tornando con grandi ascolti, come te lo spieghi? Il fatto di essere un attore che muove le masse di pubblico può aiutare a portare a teatro un pubblico che solitamente non verrebbe?
"Il successo di pubblico per il ritorno di Don Matteo fa piacere, ma non penso che sono un attore che muove le masse. Credo che le persone non guardino o seguano Raoul Bova in quanto tale, ma piuttosto perché nella mia carriera sono sempre stato attento alle scelte che ho fatto. Ho sempre cercato di fare scelte ponderate e di dare loro significato per i progetti che ho affrontato, credo che questo sia arrivato al pubblico. Se fossi stato una scatola vuota non penso che il pubblico mi avrebbe seguito".
Raoul Bova dà dunque l’appuntamento al pubblico con il suo spettacolo teatrale in Il nuotatore di Auschwitz e con il ritorno di Don Matteo su Rai 1, dove il 21 novembre dovremmo assistere all’atteso ritorno di Terence Hill. Un doppio appuntamento imperdibile per vivere storie di speranza e coraggio.