Intervista a Barbara Gallavotti: “Piero Angela mi ha insegnato il rispetto per il pubblico e la sua curiosità”

Tornata al timone della nuova stagione di “Quinta Dimensione” su Rai Cultura, la divulgatrice si racconta

Valentina Di Nino

Valentina Di Nino

Giornalista

Romana, laurea in Scienze Politiche, giornalista per caso. Ho scritto per quotidiani, settimanali, siti e agenzie, prevalentemente di cronaca e spettacoli.

Barbara Gallavotti
Fonte: Ufficio Stampa

Barbara Gallavotti è al momento una divulgatrice scientifica tra le più conosciute e seguite dal pubblico televisivo italiano. Appassionata e comunicativa, con in mano ben stretti i ferri del mestiere, grazie anche alla lunga e importante esperienza da autrice dei programmi di Piero e Alberto Angela, è tornata in questi giorni sugli schermi con la nuova edizione del suo programma Quinta dimensione – Il futuro è già qui in onda il sabato sera su Rai Cultura. In questa intervista ci racconta di più del suo prezioso lavoro, di quello che spera di comunicare al suo pubblico e della nuova stagione della sua trasmissione.

Intervista a Barbara Gallavotti

Barbara Gallavotti, si sente più scienziata o più comunicatrice?

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Io mi sento innanzitutto una giornalista. Quando ero bambina sognavo di scrivere. Ho fatto il liceo classico e poi mi sono appassionata di scienze, ho studiato fisica e poi biologia, e mi sono innamorata della genetica. Io non credo nella divisione tra cultura umanistica e cultura scientifica, dove c’è curiosità c’è la cultura che serve a soddisfarla. Per me studiare e parlare di scienza oggi è fare quello che l’umanità ha fatto nell’epoca delle grandi esplorazioni geografiche: spingersi ai confini della conoscenza.

Qual è il compito di una divulgatrice scientifica in televisione e in ogni altro contesto, secondo lei?

Il mio obiettivo è diffondere contenuti alti abbassando però la complessità del linguaggio, praticamente il contrario di quanto fanno a volte gli specialisti che, per rendere più diretti i loro messaggi, tendono a semplificare troppo il contenuto e impoverirlo, mantenendo però un linguaggio tecnico che risulta di difficile comprensione al grande pubblico. Io invece mi sforzo di non impoverire mai il contenuto principale, cercando di estrarne la parte più importante che è quella che spiega effettivamente perché una certa cosa avviene, secondo quali leggi e meccanismi.

Questa professione lei ha avuto modo di svolgerla al fianco del più grande divulgatore italiano Piero Angela, cosa ha imparato da lui?

Ho lavorato con Piero Angela per 23 anni e la cosa fondamentale che mi ha trasmesso è stata sicuramente il suo enorme rispetto per il pubblico. Non ha mai pensato che una sola persona che lo seguisse non fosse abbastanza colta, perché per lui il discrimine non era la cultura, ma la curiosità. Il suo grande pubblico era eterogeneo, ma chiunque seguiva le sue trasmissioni era spinto dalla curiosità e a me ha insegnato a soddisfare queste curiosità, abbattendo la barriera che poteva rappresentare un linguaggio troppo tecnico e ostico.

Ci può regalare un ricordo personale, che conserva con affetto, di tanti anni di collaborazione?

Spesso mi vengono in mente i suoi consigli e le sue frasi ricorrenti, una in particolare: ‘ il meglio è nemico del buono’. Un’espressione con cui intendeva che quando un programma è buono va chiuso, preparato per la messa in onda e quindi regalato al pubblico. Quando siamo certi di aver in mano un buon prodotto, quello è il momento per fermarsi e non andare avanti a fare una cosa più ricercata, perché da quel punto in poi, il rischio di renderlo più tecnico e meno comprensibile è alto. Per lui la cosa importante era dare a chi lo ascoltava degli strumenti utili per prendere le proprie decisioni su una base consapevole. In questo era anche molta della sua concezione del servizio pubblico.

Qualcosa che il suo pubblico non ha mai saputo e lei che ci ha lavorato tanto sa?

Piero Angela era timido, lo diceva sempre. Ma la passione per il suo lavoro gli faceva superare questo suo lato caratteriale. Ed è una cosa che penso di avere in comune con lui. Anch’io di base sono timida, ma l’amore per quello che faccio mi fa superare anche questo.

Durante la pandemia ci siamo tutti resi conto di quanto la scienza sia fondamentale per le nostre vite, ma abbiamo assistito anche a reazioni di insofferenza. Perché una fetta della popolazione si è dimostrata diffidente nei confronti della scienza, preferendo credere a ipotesi alternative e fake news, secondo lei?

Non penso che i cittadini debbano ‘affidarsi’ alla scienza. Il compito della scienza è fornire gli strumenti per capire, i dati su cui ragionare, ma la scienza non può imporre scelte, scegliere è compito ad esempio della politica. Durante la pandemia la scienza ha fornito il vaccino, ma non era compito della scienza deciderne l’obbligatorietà, per fare un esempio. Non si deve caricare la scienza di responsabilità politiche o addirittura di colorazioni ideologiche.

Ma perché abbiamo assistito, da parte di alcuni, a fenomeni quasi di rigetto delle evidenze scientifiche durante la pandemia?

L’altro giorno parlavo con una persona, convintamente no vax. Mi sono accorta che non era disinformato anzi, aveva approfondito la questione, solo che le informazioni che aveva erano parziali. Il problema è dunque quello di garantire a tutti l’accesso a informazioni complete, non manipolate, per arrivare alla cosiddetta cittadinanza scientifica. Se tutti abbiamo a disposizione informazioni corrette, siamo in grado di prendere poi decisioni davvero consapevoli e questa è una cosa fondamentale per la democrazia, ma questo è un problema di sistema.

Ci sono responsabilità della comunità scientifica, anche solo rispetto al campo di cui lei si occupa, della divulgazione, se c’è ancora questa diffidenza?

Io penso che la cultura in generale e quindi anche la cultura scientifica in particolare, sia un grande ecosistema in cui tutto deve funzionare. Di questo ecosistema fanno parte le istituzioni, la ricerca, la scuola, ma anche i libri, la tv, i musei della scienza. Quando tutte queste parti sono in salute, il sistema è in salute e il cittadino può contare sulla possibilità di accedere a informazioni complete e corrette.

L’Italia è un paese che si occupa abbastanza di questo ecosistema?

Tutti i paesi se ne dovrebbero occupare di più. Penso per esempio ai musei della scienza, che in Italia sono pochissimi e che sono fondamentali perché sono il luogo in cui si spiega come si è arrivati a certe scoperte. Se un giorno le persone si ritrovano un vaccino senza sapere quanto studio c’è stato dietro, è chiaro che possono avere dubbi. E questo è solo un esempio.

Quali sono gli argomenti scientifici più urgenti da ‘spiegare’ al grande pubblico nel 2023, secondo lei?

I cambiamenti climatici sicuramente. E poi l’Intelligenza Artificiale. Siamo di fronte a un nuovo salto dell’umanità che ha a disposizione un nuovo potentissimo strumento e deve capire come scegliere di utilizzarlo. Per farlo, bisogna conoscerlo.

E’ da poco in onda la nuova stagione di Quinta dimensione, la sua trasmissione. C’è un filo conduttore che l’ha guidata nella scelta degli argomenti da trattare in queste nuove puntate?

Sì, ho scelto di raccontare i nostri grandi bisogni di esseri umani che poi ci accomunano a tutte le altre specie: mangiare, camminare, riprodursi. In più ne ho aggiunto uno che è propriamente ‘umano’: creare e immaginare.

Cosa apprezza di più il pubblico della sua trasmissione, secondo lei?

Spero venga apprezzato il nostro tentativo di dare qualche strumento in più per capire a che punto siamo della nostra ‘storia’. Poi, sicuramente il fatto di condividere esperienze privilegiate, come poter entrare nel cantiere scientifico di Notre Dame, come abbiamo fatto nella prima puntata, e dare al pubblico la possibilità di accedere a luoghi in genere inaccessibili.

Una domanda che sottende una provocazione: ci stiamo abituando a vedere in tv sempre più donne che parlano di scienza (!), come va con il gender gap nel suo campo?

Bisogna fare una distinzione. Le divulgatrici non mancano, ce ne sono molte bravissime, se guardiamo alla ricerca però c’è ancora strada da fare. L’Italia in questo sta messa meglio di altri paesi, come ad esempio la Germania, ma bisogna lavorare ancora. Come spiega anche Amalia Ercoli Finzi, nella prossima puntata di Quinta dimensione, bisogna far capire alle bambine che non esiste limite alla loro curiosità e a quello che possono fare, e non è vero che la matematica e la scienza siano materie ‘da maschi’. Bisogna farlo nell’interesse di tutti, per non far rischiare al mondo di rinunciare a tanti talenti che potrebbero essere utili all’umanità.

Lei ha scritto anche tanti libri di argomenti scientifici rivolti ai bambini, che strategia adotta per rendere chiari argomenti complicati ai giovanissimi?

Sì, l’ho fatto anche perché ho due figlie, che ora hanno 12 e 14 anni, e sono curiose e interessate agli argomenti scientifici anche perché, ovviamente, in casa ne masticano. I bambini sono molto meno condizionati degli adulti, per esempio, dalla ‘paura’ che aleggia sulla matematica che, non si sa perché, viene considerata in questo paese una materia molto più difficile delle altre. Ma perché coniugare i verbi non è difficile? Per imparare qualsiasi cosa serve impegno e studio. Per appassionare i più piccoli, così come per appassionare gli adulti in fin dei conti, bisogna puntare a soddisfare le loro curiosità: perché una cosa funziona così? Te lo spiega la scienza!

Valentina Di Nino


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