Giuseppe Scicchitano, lo chef star di Tiktok con la 'pasta cioccolato e gamberi': "Sono pronto per L'Isola dei Famosi"
Il giovane ristoratore e influencer partenopeo, che spopola sui social con le sue ricette, si racconta in questa intervista esclusiva a Libero Magazine.
Oltre un milione di fedeli follower tra TikTok e Instagram, contenuti che superano anche i tre milioni di visualizzazioni, ma la prima cosa che dice Giuseppe Scicchitano quando gli si chiede di questa inarrestabile ascesa social è: "La mia vita al 90% è fatta del mio lavoro, un lavoro per fare il quale ci vuole tanta passione e tanta costanza. Sui social ci sono finito perché volevo raccontare questo". Scicchitano sui social, quindi, racconta il suo mondo, che è un mondo fatto di molte cose ma che ruotano tutte intorno all’amore con cui porta avanti il suo lavoro nella ristorazione: tradizione e innovazione, impegno e passione, e anche un rapporto con il pubblico che sta diventando molto speciale. I numeri social del giovane ristoratore napoletano, e l’entusiasmo con cui i follower seguono ogni nuovo contenuto, dicono che tutta quella passione è riuscita a riversarla sul web. Il suo pubblico, Scicchitano, lo ha conquistato con video semplici, veloci, spesso senza parlato e in cui, a farla da padrona è la sua quotidianità lavorativa che per lui coincide anche con un’importante tradizione famigliare. Rappresenta infatti, la terza generazione di una famiglia nota nel panorama della ristorazione partenopea. Un’impresa iniziata dal nonno, proseguita con la madre di Scicchitano, Assunta, a capo, con il marito, di un noto ristorante napoletano e che ora continua con Giuseppe, che di questa preziosa eredità fa tesoro, senza rinunciare, come è giusto che sia per le nuove generazioni, a trovare una sua identità. Il giovane ristoratore racconta tutto questo ogni giorno sui social, e questo racconto è piaciuto così tanto che ha deciso anche di trasferirlo in un libro, uscito per Cairo, con il rappresentativo titolo di: "O’sapore d’ o mare".
In questa intervista ci racconta di più del suo mondo fatto di fatica, passione, sapori e, ormai, di una notorietà conquistata anche a suon di follower e like.
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Entra nel canale WhatsAppGiuseppe Scicchitano, intervista al ristoratore-influencer, che coniuga tradizione e innovazione
Giuseppe Scicchitano, dopo aver conquistato i social arrivi anche in libreria, come è andata questa esperienza?
Sono contento di questo libro perché ci ho messo quello che volevo e mi rispecchio totalmente nel modo in cui la mia storia è stata raccolta.
Un passo per regalare qualche retroscena in più al pubblico che ti segue sui social?
A me, quello che interessa è raccontare il mio lavoro. La mia vita è fatta, per il 90%, di lavoro, quindi è quasi tutto il mio mondo. Mi sono avvicinato sui social raccontando questo e a tante persone è piaciuto e si sono interessate a quello che avevo da dire, nel libro c’è modo di conoscere ancora di più il mio mondo.
Ma questa passione così totalizzante per la ristorazione, come nasce?
"Quando nasci in un certo tipo di contesto famigliare è ovvio che vieni influenzato, ma la verità è che l’influenza familiare non basta. Per fare questo lavoro lo devi prima di tutto amare e abbracciare nella totalità. Ci sono tanti figli di famiglie che lavorano nella ristorazione che scelgono di fare altro nella vita, perché non hanno la passione, che è quello che ho io: passione e dedizione. Quello che faccio oggi è quello che ho sempre voluto fare fin da piccolo. Io ho mosso i primi passi all’interno del ristorante di famiglia, ma non è un modo di dire: io stavo sempre lì, da quando ero piccolo. Ci sono cresciuto davvero.
Hai un particolare ricordo di quei primi passi?
Una volta, avevo 9 anni, vedevo mio padre che apriva i frutti di mare e, ovviamente, volevo farlo anch’io. Quindi ho preso un’ostrica e ho provato ad aprirla ma il coltello mi è sfuggito e mi sono bucato la mano. Mi usciva il sangue e sono andato da mio padre con la mano che sanguinava, mi aspettavo che mi consolasse oppure si arrabbiasse, invece mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: "Bravo, stai imparando!". E così facendo, con questi e altri gesti, mi ha insegnato presto il senso della gavetta, che è una cosa dura, in cui bisogna faticare e sporcarsi le mani, ma necessaria.
Essere un "figlio d’arte" è una cosa che hai vissuto più come un vantaggio o come una sfida?
L’ho vissuto come uno stimolo, perché quando sei "figlio di" non è facile. Io faccio sempre un esempio: se stai camminando a livello della strada e cadi, ti puoi sbucciare un ginocchio al massimo, ma se cammini mentre sei già al secondo o terzo piano e cadi giù, ti fai molto più male. Penso che sia quindi una sfida. La cosa più difficile, quando hai già una famiglia nota nel tuo stesso campo, è riuscire a crearti un’identità tua. E io, piano piano, credo che ci sto riuscendo, ma per riuscirci e distinguerti devi fare il doppio dei sacrifici.
E se dovessi definire questa identità in tre parole, quali sarebbero?
Qualità, costanza e programmazione. La qualità è la cosa principale, perché bisogna dare sempre il massimo ai clienti e io su questo, quasi non ci dormo la notte per essere sicuro di raggiungere il miglior livello di qualità. Poi la costanza è davvero una cosa importantissima. Una cosa è fare questo lavoro per 3 anni, 5 anni, 10 anni, ma se vuoi resistere e fare cose molto più significative ci vuole davvero tanta costanza e dedizione. E poi, l’altra cosa che mi distingue e che ritengo fondamentale, è sicuramente programmazione: dal punto di vista imprenditoriale, senza non si va veramente da nessuna parte. In ogni cosa fatta bene nulla deve essere lasciato al caso. L’essere umano può sbagliare, ma il margine di errore va ridotto al minimo e a questo serve la programmazione.
Qual è la parte del tuo lavoro che ti dà più soddisfazione, e quella più complicata, che il pubblico da fuori non vede?
Un po’ tutto mi dà soddisfazione. In questo momento, anche con la mia presenza sui social, mi rende veramente felice l’affetto delle persone. Mi è capitato in questi giorni che sia venuta da me una persona, da Milano, con il libro in mano, solo per farmelo autografare e fare una foto insieme. Io questo non l’ho mai cercato: quando ho iniziato a fare contenuti sui social volevo solo comunicare al meglio il mio lavoro. Quando mi succedono cose come questa, mi fanno capire che ci sono riuscito, e sono molto felice. Poi un’altra grandissima soddisfazione per me, è vedere i ragazzi del mio staff che crescono lavorando insieme a me. La mia squadra, a parte due persone un po’ più grandi, è fatta tutta di giovani sotto i 26 anni. E per me è un orgoglio far lavorare i ragazzi e farli appassionare a quello che fanno. La parte più complicata è che ci vuole costanza e bisogna sacrificarsi tanto quando si lavora nella ristorazione, e infatti in molti a un certo punto cambiano mestiere. E’ un lavoro che bisogna fare con passione, se no è impossibile. Anche per questo io cerco di proporre ai giovani che lavorano con me non solo un lavoro, ma un progetto comune, da portare avanti insieme e da amare.
Ultimamente, su social e tv, si ha invece la percezione che la cucina sia diventato un campo molto appetibile per le giovani generazioni, ma tu che sei sul campo vedi qualcosa di diverso?
Bisogna distinguere. Una cosa è fare il food blogger, il food influencer, lo chef sui social, un’altra è lavorare davvero nella ristorazione: sono due cose ben diverse. L’influencer si mette lì a cucinare da casa, magari non lo fa nemmeno tanto bene, ma riesce ad andare virale sui social e ha fatto il suo. Io, invece, sono un lavoratore del settore, che solo dopo e per caso è diventato anche influencer, ma la differenza è che io conosco bene che cos’è il vero lavoro in questo campo ed è un lavoro che non si riesce a portare avanti se non si ama davvero perché è molto sacrificante. Il social ti fa vedere solo la parte in cui raccogli i frutti, ma la verità è che, prima di raccogliere i frutti devi lavorare il terreno, seminare, impegnarti. Sui social vedi solo la facciata, non quello che c’è dietro. E quando i giovani lo vedono, invece, a volte mollano.
A proposito di tv, cosa ne pensi dei tanti programmi che parlano di cucina nei palinsesti di ogni rete?
Penso che sono utili a far conoscere la nostra realtà. Io e mia mamma abbiamo fatto insieme un programma tv su Food Network ed è stata un’esperienza positiva. Credo che il cambiamento e le novità, che permettono di comunicare meglio il nostro lavoro vanno sempre bene. Oggi il mondo va a 1000 all’ora e tutto cambia velocemente, quindi bisogna essere sempre aperti a nuovi modi di entrare in contatto con il pubblico. Programmi che mettono in risalto imprenditori o ristoratori che fanno bene il loro lavoro sono ottime iniziative per chi è nel campo.
E tu, che ormai hai anche un notevole tesoro di pubblico social, lo farai mai un nuovo programma tv?
Devo dire che mi sono già arrivate delle proposte. Mi ha cercato un programma tempo fa, ma io non c’entravo niente e ho preferito rinunciare, perché non era una formula che andava bene per me. Si trattava di Italia’s Got Talent, ma non era proprio il contesto giusto, quindi sicuramente farei volentieri qualcosa in tv, ma qualcosa che mi rispecchiasse di più e in cui mi trovassi più a mio agio. Oppure proprio un programma pensato da me.
E un reality, lo faresti, come alcuni tuoi colleghi in passato?
Si certo, li farei. Non farei il Grande Fratello perché stare fermo, chiuso in una casa per me, non è una situazione che fa per me. Ma programmi come L’Isola dei Famosi o Pechino Express li farei sicuramente.
E Quattro Ristoranti invece, che ne pensi?
E’ un bel programma, Alessandro Borghese lo fa benissimo e in questo format riesce a dare risalto a tante realtà interessanti mettendole in competizione, in modo che il pubblico si appassioni anche alla gara, lo trovo sicuramente positivo, un programma che valorizza il nostro mondo.
C’è qualche chef-star che ti piace di più, a cui ti ispiri?
La persona a cui mi ispiro, l’unica, è mio padre. Poi voglio dire che io non sono esattamente uno chef, io sono un ristoratore che fa tante cose, tra cui anche cucinare, ma soprattutto dare idee per la creazione dei nostri piatti. Questo penso di saperlo fare: io sono sempre per la tradizione anche se poi ogni tanto mi piace azzardare, per esempio con la pasta al cioccolato con i gamberi che è andata così virale sui social. Ma non è mai un azzardo fine a se stesso: il sapore è sempre la prima cosa da considerare e quel piatto è buonissimo. Per tornare agli chef che seguo, posso dire che stimo tanti ristoratori: Antonino Cannavacciuolo e Francesco Panella per esempio, però la mia grande ispirazione è solo una, ed è mio padre.
Il tuo piatto preferito qual è?
A me piace tanto la cucina di pesce, che poi è il nostro forte. Un piatto che amo moltissimo in questo momento, che facciamo noi da Scicchitano, è il gambero alla chitarra. E poi adoro la cheescake di mare, che è una rivisitazione del piatto iconico di famiglia che è la zuppa di cozze e che per me è l’esatto esempio concreto di cosa voglio dire quando parlo di innovazione nel rispetto della tradizione per la nostra cucina.
Consigli ai giovani che vorrebbero fare il tuo mestiere? Aprire un canale social?
Ecco, quello viene molto dopo il vero lavoro. Io dico sempre: noi non salviamo la vita a nessuno, quindi non serve essere uno scienziato per fare il nostro lavoro, ma questo è un mestiere che se non lo affronti con passione diventa molto difficile farlo perché è davvero bello, ma anche sacrificante. Senza passione non puoi imparare né tanto meno durare.