Domenica In: Vecchioni e il dolore per la morte del figlio, Venier corteggiata da Dallara

Il 10 marzo "zia Mara" presenta ospiti di lunga data, come Maurizio Vandelli, e si sofferma sulla sofferenza del cantante per la perdita di Arrigo: cosa succede

Rosanna Ilaria Donato

Rosanna Ilaria Donato

Web Content Editor

Laureata in Linguaggi dei Media, mi dedico al mondo dell’intrattenimento da 10 anni. Ho lavorato come web content editor freelance per diverse testate.

Durante la puntata di Domenica In, in onda il 10 marzo su Rai1 e condotta la Mara Venier, tanti gli ospiti attesi, tra cui Tony Dallara, ancora una volta sopraffatto dalla bellezza della conduttrice, Maurizio Vandelli che canta I migliori anni della nostra vita ed è protagonista di un paio di momenti comici, e Roberto Vecchioni, pronto a raccontarsi al grande pubblico della Rai, a partire dal dolore per la morte del figlio Arrigo, venuto a mancare lo scorso aprile all’età di 36 anni a causa di una grave malattia.

Il recap della puntata del 10 marzo di Domenica In

A inizio puntata Mara Venier si complimenta subito con Bobby Solo per il suo modo di essere, nonostante i tanti anni di carriera alle spalle: "Io ho una profonda ammirazione per te. Hai l’umiltà, ancora oggi, di dire: ‘Che ne pensi, Mara?’" Non tarda ad arrivare la sua risposta: "Sono un tuo ospite, quindi è giusto così", dice prima di presentare il brano da cantare sul palco di Domenica In: "Farò una canzone che tra pandemia e guerre è sempre attuale: Non c’è più niente da fare". Maurizio Vandelli racconta di essersi sempre vergognato a chiedere l’autografo ai grandi personaggi e ricorda che ai tempi non c’erano nemmeno i cellulari per farsi i selfie con loro: "Jimi Hendrix è stato a casa mia per 3 o 4 giorni e non ho una foto con lui. Ho conosciuto tanti personaggi famosi ma non ho alcun ricordo tangibile". Quando arriva il momento di esibirsi per quest’ultimo, dopo avergli sentito dire che tutti i componenti del suo ex gruppo, gli Equipe 84, sono venuti a mancare e lui sarà "il prossimo", Mara Venier gli dice: "Ti accompagno. Tu sei un ospite fisso qua". Allora Vandelli dichiara: "Quasi, che altrimenti poi sparlano", ma la conduttrice non ci sta: "Sempre meglio vederti qui". Una volta sul palco il cantante spiega perché ha delle mimose attaccate alla giacca: "Le ho tenute per la festa della donna, ma anche per ricordarmi del muscolo che mi sono rovinato…" La Venier lo blocca subito: "No, per muscolo intendiamo quello della gamba". Vandelli ride e lei aggiunge: "Io ormai sto molto attenta a quello che si dice. È caduto e si è stirato il muscolo della coscia". "Ricordati che quando si vola in alto come te c’è sempre qualcuno che ti guarda le mutande, per cui devi fregartene", commenta l’ospite.

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Tony Dallara si commuove dopo averlo sentito intonare I migliori anni della nostra vita, l’indimenticabile e poetico brano di Renato Zero: "Tutte queste canzoni… ne ho incise tante ma così belle no. In quegli anni là non c’era il gruppo come qua, ognuno cercava di fare più degli altri". Ora è quest’ultimo a dover salire sul palco dello studio ed è proprio la conduttrice ad accompagnarlo all’asta del microfono. "Bella… Finalmente sono vicino a te. Quanti anni… ti vedevo e mi dicevo: ‘Io la voglio conoscere’, e Dio ti ha mandato", commenta Dallara che nel frattempo si lascia distrarre dalle doti fisiche della Venier (il seno), la quale gli ricorda: "Non guardare troppo qua che ti fa male! Cade sempre l’occhio lì". "No, è l’occhio che va lì da solo…", ribatte lui. "Eh, ho capito!", conclude la Venier ridendo. In seguito, la conduttrice gli chiede se possa allontanarsi dal centro della scena e lui risponde: "Non lasciarmi solo, lo sono già stato. Basta". Infine, Tony Dallara aggiunge: "Bisogna fare canzoni che tu senti, è inutile fare festival in cui non c’è un brano da poter cantare. Il popolo vuole la canzone".

Non manca il ricordo di Lucio Dalla, e a parlarne è Pierdavide Carone: "Con Lucio l’incontro è nato grazie alla casa discografica che mi seguiva all’epoca e mi ha portato a casa sua per fargli sentire le mie canzoni. Lui mi ha aperto la porta sulla sedia a rotelle. Mi avevano detto che era strano. Non capivo se era una cosa reale o una specie di scherzo. Gli ho chiesto cosa fosse successo e lui mi ha risposto: ‘Guarda, ero a una sfilata di fotomodelli, dovevo cantare Caruso e siccome non siamo abituati alle passerelle volevo arrivare fino alla fine di essa e cantare il ritornello lì, ma era buio e sono caduto in piedi sul ‘te voglio bene assai". Era vero, poi lui era un po’ iperbolico: le cose erano reali ma le raccontava esasperandole. Per quanto riguarda la canzone portata a Sanremo, io gliel’avevo fatta sentire e ne era rimasto estasiato. Mi aveva detto: ‘Mi ricorda 4 marzo’, e io gli avevo risposto: ‘Ma sei sicuro?’ Lui ha affermato che questa canzone doveva andare a Sanremo". Alla fine il compianto artista convinse Gianni Morandi a includere il giovane nel cast dei Big, ma solo perché accettò di esibirsi con lui: quella sera infatti salì sul palco e diresse l’orchestra.

A questo punto Marco Ferradini è pronto a cantare Teorema, ma a cosa è dovuto il successo di questo brano? Lo spiega l’artista stesso: "Questa canzone ha più di 40 anni ed è rimasta nel cuore delle persone. È attuale perché molto sincera. Racconta quello che siamo, nel bene e nel male, e descrive i nostri sentimenti di fronte alle situazioni affettive. Un po’ come la canzone delle Giovani Marmotte dell’amore: cercano di scoprire sé stessi e capire come comportarsi. Ci sono scuole che ti dicono come costruire un palazzo ma nessuno ti insegna come comportarti con la tua donna. Non c’è nessun manuale". "Bisogna trattarle bene, ti rispondo io", esclama la "zia Mara".

Roberto Vecchioni si racconta a Domenica In

Entra in studio Roberto Vecchioni e il pubblico esulta e applaude: "Una cosa te la devo dire: i giovani dovrebbero seguire queste canzoni. Oggi non ci sono più melodie bellissime come quelle. La canzone deve arrivarti proprio come una bomba d’amore. Ne abbiamo poche ed è importante averle. La felicità non è eterna, sarebbe anche noiosa se fosse così. Il dolore ci dà una chance, quella di sentirci più forti del destino. Si impara soffrendo, perché la felicità non ti insegna niente, è la sofferenza a insegnare tante cose: come evitarla e tenerla affianco. I dolori saranno sempre presenti nella nostra vita, però dobbiamo impegnarci a capire come fott*rli. Non me ne frega nulla, è una parola brutta ma dobbiamo fott*rli. Il dolore per la morte di un figlio è l’unico che non può passare, soprattutto a una madre: è la cosa più sconvolgente e antiumana che possa esistere. Se ne va una persona che è nata da te e fa più male se è così bella e aperta come era lui. L’ho già detto: il mondo non lo ha capito e non se lo meritava. Lui ha lottato per 17 anni, è stata una battaglia spaventosa, ma da credente sono convinto che ci sia un disegno dentro a tutto questo. Dio non fa le cose a caso, tutto ha un piccolo senso. Vorrei che mia moglie sorridesse. Quando la vedrò sorridere, con quel sorriso meraviglioso, non vorrò altro. Andrei pure all’Inferno. Sono 43 anni che stiamo insieme e la amo sentimentalmente come il primo giorno, ma anche fisicamente".

Per quanto riguarda la sua esperienza da professore, dopo aver svelato che andava malissimo a scuola, Roberto Vecchioni ammette: "Ero sempre severo, insegnavo in un liceo classico. A volte le studentesse si innamoravano di me, si vedeva subito. Naturalmente facevo finta di non accorgermene, anche se all’inizio era un po’ un casino. Quando ho iniziato ero un ragazzo, avevo 26 anni, e non era facile capire cosa fare in questi casi. Mi ricordo che la prima volta che entrai in quel liceo il bidello mi prese per uno studente e mi diede calci nel sedere perché ero in ritardo".

Quando arriva Paola Iezzi, sua ex studentessa, Mara Venier le domanda subito se al tempo fosse innamorata di lui e quest’ultima risponde: "Innamorata è un parolone, lo ero solo intellettualmente. Noi lo veneravamo, eravamo innamorati della sua essenza. Lo vedevamo come un’entità soprannaturale. Quando faceva le lezioni era bello perché ondeggiava tra questa umanità incredibile e la capacità unica – nessun altro professore ci riusciva – di connettersi agli adolescenti. Chiaramente con noi doveva fare quello un po’ rigido: se interrogava o dovevamo fare i compiti era severo. Lui ci teneva molto a tenere separati il mondo della musica e quello di professore. Soltanto alla fine dell’anno c’è stato… ci ha invitato al matrimonio con Daria, non ci credevamo. È stata una giornata pazzesca, l’unica volta in cui ci siamo avvicinati di più al suo mondo della musica, di cui lui non parlava mai, anche se una volta è successa una cosa, quasi un miracolo… Un giorno è entrato in classe con un cerotto enorme bianco vistoso sulla fronte. Era il 1989. Noi gli abbiamo chiesto: ‘Prof ma cosa è successo?’ E lui ha risposto: ‘Ho litigato con mia moglie e lei mi ha tirato un bicchiere’".

Vecchioni commenta: "Probabile, e ha fatto benissimo. Sicuramente ho avuto un atteggiamento maschilista o qualcosa del genere. Mi capita ogni tanto di fare delle sciocchezze". La Iezzi riprende la parola per concludere il suo discorso: "E la cosa bella è che ha scritto una canzone in classe sull’evento. Poco tempo dopo infatti è uscita ‘Milady’. Nel testo c’è una frase che dice ‘Milady smettila di bere, ti spacco in testa quel bicchiere.’ Noi avevamo capito che la canzone era quella. Dopo tutti questi anni abbiamo la risposta". L’artista conferma la storia e poi aggiunge: "Non bevo da 10 anni".


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