Domenica In: Celentano lancia nuovo programma, Zero affronta il dolore
Da Mara Venier il 10 dicembre: Vincenzo Mollica parla della cecità, Adriano svela grande novità e Renato affronta il dolore per la perdita della madre
Al via la nuova puntata di Domenica In, il talk show condotto da Mara Venier il 10 dicembre su Rai Uno che presenta interviste a volti noti al grande pubblico dello spettacolo e della musica italiana: a raccontarsi oggi in studio sono Renato Zero, Massimo Ranieri, Ficarra e Picone, Toni Servillo, Vincenzo Mollica e i protagonisti del musical teatrale di Alessandro Siani, basato sulla serie TV Mare Fuori, tra cui Andrea Sannino.
Il recap della puntata del 10 dicembre di Domenica In
Domenica In comincia con il trionfale ingresso di Renato Zero, che si racconta in una lunga chiacchierata con la padrona di casa: "Io a casa non ci sto volentieri, mi piace incontrare e condividere. Più il tempo passa e più si ha bisogno delle strade, delle piazze, del condominio e di andare a bussare al vicino… Prima si faceva più spesso, io lo faccio ancora adesso. Me lo sono cercato – il successo – perché mi sono chiamato ‘Zero’, che sta fuori da tutti i numeri. Notare tutto questo amore nei miei confronti lo ritengo penalizzante, perché vedermi tremolare poco prima di affrontare il palco, anche se dovrei essere abbastanza pronto a salirci, è una cosa strana. Forse è un segnale che non mi sono allontanato dalle mie responsabilità e ho ancora desiderio di stare qui. In Autoritratto c’è un’analisi della mia interiorità, dentro le mie corde musicali e di vita, per cercare di ristabilire la somma di tutte le mie esperienze artistiche. Il CD è ormai destinato a scomparire e credo che ciò rappresenti un’ingiustizia. Tale supporto è importante soprattutto per i giovani, perché quando scarichiamo della musica dalle piattaforme non sappiamo chi siano i musicisti, il produttore, gli autori e i compositori, e la questione più grave è che non abbiamo i testi delle canzoni da poter confrontare con quello che ascoltiamo. Sentivo il bisogno di raccontare l’esistenza: tutto si riduce al fatto che io sono un osservatore. Poi torno a casa e sento il desiderio di raccontare le storie che ho visto e vissuto, e qui l’ho fatto in maniera intima".
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Entra nel canale WhatsAppPer quanto riguarda i festeggiamenti in famiglia, l’ospite ammette: "Noi festeggiamo la Vigilia. Il Natale, secondo me, è l’avvicinarsi alla rinascita, a voltare pagina. Per noi è il punto di bilancio e di raccolta: le famiglie è giusto che si ritrovino. Vivevamo in 12 a casa ed eravamo abbastanza poveri, non avevamo la necessità di fare il passo più lungo della gamba, io credo sia giusto spendersi con quello che possediamo. I Natali nostri si basavano su questa esigenza di non essere avidi, bastavano un buon panettone e una bella tombola". In un secondo momento viene toccato il tema del successo: "A conti fatti noi pensiamo di vivere una vita ma ne viviamo di più: apparteniamo alla famiglia in una, nell’altra percorriamo la carriera, una la spendiamo per i sogni e l’altra ancora per il dolore, che forse si consuma con più lentezza perché la sofferenza vuole starti accanto per tutta l’eternità, mentre la gioia dobbiamo annaffiarla sempre. A fronte della negazione del dolore, c’è questo sentire la ricchezza di esso che ti fa capire quanto sia importante quando si rasserena il cielo, quando passa un temporale e quando persone che non vedi da molto tempo bussano alla tua porta. Non è vero che viviamo una vita, ci sono tante sfumature. Io sono morto tante volte, spesso anche di soddisfazione, perché quando il successo è troppo forte ti annienta, perché se non riesci a gestirlo diventa una carogna. Io l’ho gestito con la gente per strada, con loro ho un rapporto quotidiano".
Renatone prosegue l’intervista parlando dei genitori e ricordando il momento in cui la mamma è venuta a mancare: "L’ironia si tramanda, si trasmette. Mio padre in questo era molto divertente, perché viveva le cose con leggerezza, quando serviva. Mia madre era romana e pittoresca, non riusciva ad essere diplomatica. Nel momento in cui portavo i miei amici a casa, lei mi diceva: ‘Guarda che quello non mi piace’, oppure: ‘Lei è una bella persona’, e aveva ragione. Mi ha evitato tante fregature: aprendomi gli occhi, ho sofferto meno. Mamma l’ho avuta in casa finché non l’abbiamo ricoverata. Non fece più ritorno a casa, ma fino all’ultimo questo sorriso di mia madre la mattina, unito alla spremuta d’arancia, è un appuntamento che mi aiuta a vivere ancora oggi. L’ho sognata una volta sola: stava sul pontile di Ostia e si affacciava verso il mare. Ad un certo punto si è girata e ho visto che era lei. Non ho mancato di farle delle domande: le ho chiesto se avesse sofferto quando è morta e mi ha risposto: ‘No amore, io sono andata via molto prima di quello che voi immaginate’. Ho avuto l’ardire di chiedere a lui – confessa puntando gli occhi in alto – di aprire gli occhi e continuare a dialoga con mia madre, e l’ho fatto per sei minuti. Mi ha lasciato la serenità di sapere che se tu davvero hai amato in maniera così totale la gente non va via. Papà ci ha lasciati a 63 anni, lui amava ‘Il Carrozzone’, forse aveva previsto una morte un po’ prematura. Per mio padre questo Carrozzone era una forma di pace che lo avrebbe poi accompagnato nell’ultimo percorso. È un mezzo molto popolato, è pieno di tutti, non solo di lui. C’è tanta sofferenza in questa visione allegorica, ma anche la serenità di vederli raggruppati lì, di sapere che queste persone anche dall’altra parte hanno un tavolo, un mazzo di carte, un bicchiere di vino e tanta compagnia".
L’artista infine affronta il tema della solitudine a cui è molto legato: "La solitudine è una presenza che non può essere evocata a piacimento. Si nasce soli e si muore soli. Lo sei anche quando esci dal ventre materno, in quel momento la vita te la stai guadagnando anche con i tuoi primi vagiti, con questo piangere di rabbia e di felicità, e lo stesso vale quando ce ne stiamo per andare. La solitudine sarebbe opportuno considerarla un po’ di più. Al posto di combatterla, in forma spesso non ottimale, soddisfacente, dovremmo darle uno spazio. Se si sta soli per necessità, per rivedere un po’ le proprie vicende private, va bene. In ogni caso non dovremmo chiuderle la porta, né quando parliamo di dolore, né quando ci aiuta a essere felici. Ci sono tante persone che questa felicità l’hanno buttata via, lo vediamo dalle cronache di questi giorni. Invece di raccogliere il coraggio per poter perdonare, per accarezzare una persona e dirgli: ‘Con tutti i tuoi difetti ti amo’… Noi manchiamo di questa delicatezza e della severità che occorre per poter evitare le tragedie, perché la solitudine fa anche tante vittime se non la teniamo a bada".
"Gli amici servono?", chiede la conduttrice. Zero risponde: "Prima di tutto gli amici vanno conquistati, non è che lo si è perché stacchi un assegno o perché sei in grado di garantirgli la tranquillità esistenziale. I miei, quelli che mi sono scelto, hanno tutti qualche problema, stanno sempre a lamentarsi. È proprio così, io per vocazione all’amico ricco gli do una carezza e gli dico: ‘Beato te che ti accontenti de poco’. Viceversa, con queste persone che non hanno nulla da offrirti e mi dicono: ‘Renà, io ti sono amico non perché canti, vendi i dischi e sei qualcuno, ma perché per me sei una spalla. Se ce l’hai fatta te, posso farcela anche io. La tua vicinanza mi serve’. Questi sono gli amici che gradirei non sparissero dalla mia vita". Mara Venier passa a domandargli: "Guardi Sanremo?", e lui risponde: "Se mi guarda lo guardo, altrimenti no", per poi lasciare lo studio di Mara affermando: "Noi siamo nati per questo: rallegrare e farvi riflettere, talvolta anche per farvi piangere, perché le lacrime uniscono, ed è bello anche essere qui per farvi piangere".
Massimo Ranieri e Vincenzo Mollica si raccontano
Entra nel salotto Massimo Ranieri, che racconta i suoi primi anni di carriera: "A volte non mi pagavano, mi davano i viveri: in certe occasioni è meglio dei soldi, era cibo sostanzioso. Mio padre e mia madre erano contenti perché ero una buona fonte di reddito per casa". Ranieri parla anche della lunga collaborazione artistica con Ennio Morricone: "Quando ho fatto le commedie eduardiane in televisione, il primo pensiero è andato a lui. Non lo conoscevo personalmente, quindi mi sono chiesto se fosse il caso di chiamarlo. Alla fine lo sento e mi dice di andare a casa sua il giorno dopo. Ci vado e mi accoglie con quella sua clamorosa simpatia e severità. Incomincio a parlargli delle commedie e mi chiede di rivederci 20 giorni dopo per farmi sentire il primo motivetto. Non credevo ai miei occhi, gli stavo davvero accanto. Ero affascinato da lui, un uomo meraviglioso e molto disponibile".
Non manca poi un aneddoto legato alla grande Anna Magnani: "Io stavo su un masso a mangiare il mio ‘cestino’ e ad un certo lei apre la porta della roulotte e mi dice: ‘A ragazzì, vieni qua’. Io ho cambiato colore, chiedendomi cosa avessi combinato… Lei era severissima. Ho lasciato il cestino e sono entrato lì: lei si dilettava a suonare la chitarra e in quella occasione ha suonato una nota di Reginella e mi ha detto: ‘Sicuramente la conosci e la canti meglio di me’, ma io le ho risposto ‘no’ e lei ha aperto la roulotte per poi urlare: ‘Alfrè – il regista Giannetti – questo non conosce la canzone. Ma che ca*zo di napoletano sei?’ Io capisco la gravità della cosa, ma all’epoca cantavo brani diversi, le mie hit erano ‘O surdato ‘nnamurato e ‘O sole mio. La mattina dopo ho chiamato mio padre per dirgli di portarmi dei dischi napoletani a Roma, perché non ne conoscevo. Anna Magnani me le ha fatte scoprire". Un altro aneddoto invece riguarda Vittorio De Sica e il loro primo incontro a Montecarlo: "Quella volta ho fatto una figura di me*da. Ho cantato male ed ero vestito anche peggio, perché ero stanco. Non avevo capito niente. Finisco lo spettacolo e dietro le scene trovo De Sica che commenta: ‘Ma cosa fai, figliolo?’ Io gli rispondo: ‘Lo so, ho cantato male’, e lui prosegue: ‘Non lo hai fatto male. Io non sono napoletano e mi vanto di esserlo, ma tu che lo sei e non canti nel tuo dialetto… Dai, non fare queste figure’. Allora gli propongo un accordo: ‘Maestro, io canto napoletano se lei mi fa la regia teatrale. Dopo un mese eravamo al Sistina a provare. Capisci quanto sono fortunato?"
Arriva nel salotto di "zia Mara" Vincenzo Mollica i cui problemi alla vista lo hanno portato a riflettere sul tema importante della cecità e a guardare la realtà da un’altra prospettiva: "Cronista sono stato e facendo questo morirò. A teatro racconterò quello che mi è capitato da vedente e non vedente, perché la mia condizione attuale è che non vedo una minc*ia di niente a qualsiasi distanza, ma non ho perso la speranza. Racconto le persone incontrate per strada, insieme alla fortuna straordinaria che ho avuto di fare il giornalista. Lo spettacolo si chiamerà L’arte di non vedere. Per tutti quelli che fanno finta di vedere tutto e che in verità vedono poco se non sanno capire cosa hanno davanti ai loro occhi". A questo punto la Venier lancia un audio di Adriano Celentano in cui non solo il cantante elogia Mollica, ma fa una rivelazione importante su un nuovo programma presto in onda sulla Rai o su La7: "Bella l’idea di lavora sulla cosa più importante di ognuno di noi, la vista. Ed è fantastico sapere che mentre la tua vista purtroppo ha dei cedimenti, tu piano piano scopri che solo attraverso l’arte di non vedere ti accorgi che fra le cose più belle che hai fatto le migliori saranno sempre le cose più semplici, ed è questa la tua forza: cogliere il necessario e non di più, perché tende a sbiadire, a cancellare. Il programma che ho appena finito di preparare ti piacerà tantissimo. Tutto è pronto ormai, mancano solo pochi giorni, anche se ancora non è chiaro su quale rete andrà in onda. Devo decidere. Quello che conta è che le puntate sono davvero forti, poi anche se ne nessuno le vede l’importante è che esistano. Applaudiranno tutti".