Cloris Brosca: cosa fa ora la Zingara della Luna Nera. E il suo grande rimpianto: "Non lo rifarei"

A 30 anni dal primo game show preserale della Rai, l'attrice diventata icona si racconta nell'intervista a Libero Magazine: "Grazie Baudo, peccato per il dopo"

Valentina Di Nino

Valentina Di Nino

Giornalista

Romana, laurea in Scienze Politiche, giornalista per caso. Ho scritto per quotidiani, settimanali, siti e agenzie, prevalentemente di cronaca e spettacoli.

Era il 1994, quando i telespettatori di Rai Uno per la prima volta si appassionarono a uno show della fascia preserale, tuttora seguitissima. Il programma era Luna Park, un quiz fatto di tanti giochi diversi, fino a quello che più era seguito dal pubblico e temuto dai concorrenti: quello della Zingara. Seduta a un tavolino, pronta a tendere i suoi tranelli attraverso arguti indovinelli e armata di un mazzo di tarocchi da cui poteva uscire la temibile Luna Nera, la Zingara è diventata presto l’icona di un game show indimenticato, anche perché chiamava a raccolta, tutti i più importanti conduttori Rai dell’epoca. Ma la Zingara, interpretata dall’attrice Cloris Brosca, ebbe talmente tanto successo che, chiuso Luna Park, le venne cucito uno spin-off di grande successo addosso. Dopo 30 anni abbiamo chiesto proprio a Cloris Brosca di raccontarci quel programma cult della tv anni ’90, del suo popolarissimo personaggio e di come è poi proseguita la sua carriera, una volta smessi i panni della temibile lettrice di tarocchi.

Cloris Brosca, 30 anni dopo Luna Park, ci racconta come ci è finita a fare la Zingara della Luna Nera?

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"Semplicemente ho fatto un provino. Eravamo una trentina di attrici tutte con collane vistose, orecchini grandi, rossetti rossi, conciate da zingara e ci fecero dire alcuni indovinelli. Io ebbi la fortuna di essere scelta. Da lì è cominciata questa avventura e non avevo nemmeno capito bene di cosa si trattasse. Pensavo fosse una trasmissione per ragazzi del pomeriggio."

Luna Park era uno show su cui la Rai puntò da subito molto, schierando tutti i suoi conduttori più importanti, avevate questa percezione lavorandoci?

"Sì, all’epoca la Rai non aveva programmi in quella fascia oraria, e a quell’ora in tv c’era solo Mike Bongiorno con La Ruota della Fortuna. Luna Park nacque proprio per rubare ascolti a quel programma, tanto è vero che nei tarocchi esiste una carta che si chiama "ruota della fortuna", e venne tolta, proprio per non rischiare di fare involontariamente pubblicità alla concorrenza. C’erano cinque conduttori diversi, uno per ogni serata: c’erano Mara Venier, Milly Carlucci, Rosanna Lambertucci, Fabrizio Frizzi e, a chiudere la settimana, Pippo Baudo".

Il suo personaggio all’inizio era un gioco come gli altri, come è successo che la Zingara sia diventata poi l’icona di quel programma, tanto da avere anche una vita successiva a Luna Park?

"Fu un’intuizione di Pippo Baudo. Nel giorno di conduzione di Baudo, che era l’ultimo della settimana, il gioco della zingara non avrebbe dovuto esserci, fu lui che, non solo volle la Zingara anche a chiusura della settimana, ma le diede molta più importanza rispetto a quanto era previsto all’inizio. Io avrei dovuto solo dire gli indovinelli e basta, invece lui cominciò a improvvisare, a fare dei veri e propri siparietti con me e quindi valorizzò sempre più questo personaggio. E questo fu l’elemento principale del suo successo".

E Cloris Brosca cosa ha messo di suo nella Zingara della Luna Nera?

"Io ho cercato di dare alla Zingara la mia esperienza d’attrice, ho immaginato per esempio un modo tutto mio di annunciare la Luna Nera, mi sono immaginata come un battitore che ad un ricevimento antico annunciasse un ospite d’onore: "La Luna Nera!", ed entrava questa entità spaventosa."

Dei grandi personaggi che conducevano Luna Park, che ricordo ha?

"Io in realtà sono sempre stata un po’ riservata, nel senso che quando finivo di lavorare, prendevo e tornavo a casa, però devo dire che una delle persone che mi era più simpatica e con cui mi sono trovata meglio era sicuramente Fabrizio Frizzi. Ho simpatizzato subito con lui, anche perché un po’ mi ricordava un mio cugino, ma soprattutto per la sua bonomia. Questa cosa che lui aveva di riuscire a sorridere di ogni piccolo contrattempo, o imprevisto, o anche di qualche risposta balzana che veniva fuori dai concorrenti. Questo suo tratto di accogliere tutto benevolmente è la cosa che ricordo di più e che più mi è piaciuta di lui. Quando morì nessuno si aspettava forse che ci fosse tutta quella folla, tutte persone sconosciute che l’avevano apprezzato per il suo modo di essere che evidentemente arrivava".

E’ vero che si è pentita del modo in cui ha gestito quell’enorme popolarità?

"Se avessi avuto allora la consapevolezza che ho ora, di certo avrei gestito meglio quella popolarità, cercando di trovare un unione migliore tra il mio lavoro in teatro e il personaggio della Zingara e la fama che mi aveva dato. Invece quando è finita la trasmissione io ho subito archiviato quell’esperienza che pensavo fosse lontana dalle mie cose. Perciò non ho avuto l’intelligenza di capire che comunque, essere in televisione ti dà un potere che poi puoi spendere anche negli altri ambiti. Questo tipo di lucidità in quel momento non l’ho avuta".

Pregiudizio da attrice di teatro su tv?

Si, molto stupidamente, ero io ad avere un pregiudizio, che non aveva motivo di essere, perché io in realtà, facevo nella migliore maniera che mi era possibile la Zingara, mi sono impegnata al massimo nel farla. Da questo punto di vista non mi posso rimproverare nulla.

Il rapporto con i fan della Zingara invece, come era?

"E’ stata sempre una cosa affettuosa, raramente sono successi assalti di persone che piombavano addosso. Ma i fan non cercavano il rapporto con me ma con quello che rappresentavo, la televisione, la popolarità. Parecchie persone avevano piacere di credere che avessi poteri davvero, io dicevo: "Ma voi lo sapete che lo faccio per finta", e mi si rispondeva: "Sì, ma intanto dammi i numeri al lotto", e io pensavo vabbè, giochiamo e continuiamo a giocare!

Oggi che rapporto ha con la televisione?

Mi piacerebbe lavorarci di più come attrice, anche se in teatro ho la possibilità in questo momento di fare delle cose che mi piacciono tantissimo, mi piacerebbe fare un bel personaggio in una bella fiction, anche perché mi sembra che ci siano tante possibilità in più per le donne.

Da spettatrice invece, che rapporto ha con la tv? La guarda? Cosa le piace?

Si, certo la guardo. Sfondo una porta aperta, ma dico che mi piace tantissimo una serie come Montalbano, curata da ogni punto di vista, scritta bene, diretta bene, ma anche sono rimasta incantata da delle facce e attori, anche secondari, bravissimi. Lo spettatore davanti a una serie così viene deliziato da quello che vede.

E’ vero che da giovane scrisse a Edoardo De Filippo e lui le rispose e alla fine riuscì a lavorare con lui?

Sì, a raccontarla oggi, che le produzioni non ti rispondono nemmeno quando vai a fare un provino, sembra una cosa incredibile ma è successa davvero.

Come andò?

Edoardo è il primo artista che ho visto a teatro. Mia madre era appassionata di teatro e ci portava al San Ferdinando a me e mio fratello, quando eravamo ancora piccolissimi a vedere Edoardo De Filippo. Quando venni a Roma seppi che lui stava preparando la ripresa delle sue commedie per la Rai, io scovai il suo indirizzo, abitava in una traversa della Nomentana, e decisi di provare a scrivergli raccontandogli dell’ammirazione che avevo per lui e dicendogli che mi sarebbe tanto piaciuto lavorare con lui. Se ci penso ora mi sembra una cosa veramente temeraria, l’aver sfoderato una tale faccia tosta. Spedii questa lettera tipo "message in a bottle" e incredibilmente lui mi rispose. Ci incontrammo e poi, più avanti si ricordò di me e mi fece partecipare al Sindaco del Rione Sanità, in cui interpretavo proprio sua figlia.

Cosa consiglierebbe ai ragazzi che vorrebbero fare il suo stesso mestiere?

Non scoraggiarsi, ma di più: scomponete il problema in tante parti, poi in altre e poi in altre, a quel punto cominciate a pensare di affrontare le cose più semplici e da quel momento potrete iniziare a salire e risolvere man mano le difficoltà più grandi. Ogni volta che ho messo in pratica questa cosa nel mio mestiere mi si sono aperte delle strade. Spesso ci ritroviamo davanti a dei muri alti e lisci e ci sembra di non avere appigli, ma se guardiamo bene, troveremo sempre un minuscolo passo da cui iniziare a scalare la parete e quello diventa decisivo per dare avvio a cose che man mano diventano più grandi. Poi, a livello pratico di studi direi, oltre a tutto il resto, di imparare l’inglese perché oggi è la chiave per accedere a tante produzioni e avere tante possibilità in più. La preparazione è fondamentale, deve partire da qualcosa che amiamo ed è ciò che ci fa essere sicuri quando ci proponiamo.

Massimo Troisi è un altro dei grandi nomi con cui ha lavorato, che ricordi ha di lui?

Su tutte le sue qualità, quella che colpiva di più era sicuramente la delicatezza. Quest’anno è il trentennale de Il Postino e secondo me quel film è proprio la summa della sua opera che poi è l’espressione di come era lui veramente. I suoi personaggi si sentono sempre un po’ fuori posto. Massimo Troisi ha reso protagonista la timidezza, la malinconia e la poesia dei suoi personaggi, la stessa delicatezza che lui aveva in tutto quello che faceva. Lui, da timido, aveva scelto di rendere protagonisti i timidi e i non sfacciati come era lui.

Oggi quali sono i progetti che la appassionano?

In questo momento sono impegnata in uno spettacolo teatrale che è veramente bellissimo. Si chiama La rosa non ci ama di Roberto Russo. Sono sul palco insieme a Gianni De Feo che ha curato anche la regia. E’ uno spettacolo che parte da un fatto storico: Carlo Gesualdo, musicista, nel 1590 uccise la moglie Maria d’Avalos. E’ uno spettacolo molto potente, parla anche molto delle convenzioni e anche delle fake news, perché l’autore documenta che fu un delitto premeditato ma che è passato alla storia come un delitto d’onore. Sto anche portando in giro una lettura-spettacolo su Italo Calvino in occasione del centenario della nascita che si chiama Il Molteplice Calvino ed è un omaggio al genio multiforme di questo grande autore.


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